Storia

Le armi medievali della grotta del Gelfisèr

gelfiser

 

Mario Scalini – Andrea Vanni Desideri

Le armi medievali della grotta del Gelfisèr

Il contesto

Gelfisèr è un rilievo di circa 400 m. s.l.m., ubicato nella zona interna dell’isola di Pantelleria, in posizione centrale a nord ovest della Montagna Grande. Si tratta di un antico cono vulcanico percorso da spaccature e cavità da cui trae il nome arabo (Jebel Fizàr: monte delle fenditure). In una di queste cavità furono raccolti, in circostanze non chiare, frammenti metallici pertinenti ad una spada e ad una cuspide di un’arma d’asta .

Dalle modalità incerte del recupero che ci ha privati di qualsiasi indicazione sulle condizioni originali di giacitura, derivano la massima parte delle perplessità che purtroppo relativizzano l’originaria potenzialità documentaria del contesto archeologico che si pone in ogni caso come di indubbio interesse per il buono stato di conservazione delle armi e la singolarità del luogo di rinvenimento. In questa condizione, è stata dedicata particolare attenzione all’esame dei due oggetti ed è stato così possibile il recupero di informazioni utili alla ricostruzione dei modi di formazione del deposito, in special modo nel corso dell’intervento di restauro.

Le due armi, pur nell’incontrollabilità delle modalità di ritrovamento, sono indubitabilmente riconducibili ad un contesto archeologico composto di elementi la cui considerazione è indispensabile per determinarne il significato culturale. In questa considerazione, sarebbe altamente auspicabile un tentativo di recupero dei residui dati stratigrafici conservati nella grotta che potrebbero restituire informazioni capaci non solo di risolvere le persistenti incertezze sul significato degli oggetti qui considerati ma, con tutta probabilità, di illuminarci sulle fasi di frequentazione della cavità e perciò contribuendo a documentare, per via archeologica, l’aspetto dell’occupazione rupestre dell’isola in età bassomedievale.

La spada consiste di numerosi frammenti le cui fratture presentano margini e superfici nette e non interessate da ossidazione tanto da consentire rimontaggi particolarmente precisi. La frammentazione è quindi il risultato di un’unica causa meccanica molto recente, con tutta probabilità verificatasi in fase di recupero. I frammenti giunti fino a noi consentono una ricomposizione incompleta dell’arma con numerose lacune tra le fratture recenti e quindi costituiscono solo una parte di quelli originariamente presenti nella grotta a causa di una raccolta incompleta. Un’ulteriore carenza documentaria è quella che riguarda l’eventuale presenza di elementi accessori: nel materiale recuperato non sono presenti, ad esempio, parti di cintura o resti metallici del fodero. Comunque, nel corso delle operazioni di restauro sono state rilevate deboli tracce di legno, diffuse sulle superfici della lama, che è possibile ricondurre alla struttura del fodero. Il complesso di queste osservazioni indica dunque con certezza che l’arma, al momento della sua deposizione nella grotta, era ancora nel suo fodero ed integra.

Queste osservazioni e deduzioni vengono confermate da quanto rilevato a carico della cuspide, sempre nel corso del restauro. Anche qui la frattura tra ferro e gorbia è recente e con tutta probabilità, come peraltro quelle della spada, prodotta in fase di recupero. L’interno della gorbia conserva consistenti frammenti di legno relativi all’asta cui era applicata la cuspide.

Come si vede, i dati ricavati nel corso del restauro indicano che entrambe le armi, al momento del loro abbandono nella grotta, erano perfettamente e immediatamente funzionali e che quindi la loro presenza nella cavità non ha i caratteri dello scarto per cessata funzionalità degli oggetti.

Per quanto riguarda la spada, si tratta di un’arma da impugnare con una sola mano con impugnatura completata da guancette in legno o, più probabilmente, osso di cui rimane un’impronta su una faccia del còdolo. I confronti possibili orientano la sua datazione al tardo XIII secolo. La cuspide appartiene invece ad un’arma di lunga persistenza (XIII-XV secolo), a destinazione anche venatoria, la cui robusta punta ne consentiva però l’uso bellico soprattutto per la sua capacità di penetrazione.

Il contesto appare omogeneo e, data la complementarietà delle due armi – l’arma d’asta per il combattimento a distanza e la spada per quello ravvicinato – è probabilmente da riconoscervi un’unica attrezzatura bellica individuale. Tentare di dare un significato alla presenza delle armi nella grotta è più arduo e scarsa rilevanza ha il fatto che si tratti di armi di origine occidentale in quanto il traffico di armi tra le opposte sponde del Mediterraneo è documentato fin dal XII secolo e si consideri, ad esempio, la testimonianza contenuta nel Livre des deux jardins dove l’anonimo autore arabo rammenta come i pisani ed i genovesi trattassero sui mercati nordafricani “quelle stesse armi con le quali ci combattevano”.

Del resto la posizione stessa dell’isola nel braccio di mare compreso tra la Sicilia e la Tunisia, ed anzi più avanzata verso la costa nordafricana, l’hanno resa oggetto di continue e contrastanti attenzioni volte ad assicurarsene il controllo che, considerata il carattere misto della popolazione, cristiana e islamica, si esplicarono anche attraverso forme condominiali come quella prevista dal patto di Federico II del 1221. Proprio nel canale di Sicilia erano particolarmente frequenti gli attacchi pirateschi tunisini tanto che la spedizione genovese, pisana, papale ed amalfitana contro Al-Mahdia nel 1087 ebbe come obiettivo intermedio proprio la presa di Pantelleria. Nel 1123 Ruggero II perse il controllo dell’isola che riacquistò quattro anni più tardi e nel 1135 navigò in quelle acque puntando su Tunisi. Né si può fare a meno di ricordare, senza ovviamente poter stabilire alcun tipo di rapporto diretto o indiretto tra gli eventi bellici e le armi in questione, che tra il 1250 ed 1270, cioè in un ambito cronologico plausibile per le due armi, nelle acque dell’isola transitò la flotta di Luigi IX di Francia, in rotta dapprima verso Cipro e Damietta e successivamente verso Tunisi.

Quali siano infine i motivi della presenza delle due armi nella grotta, sullo sfondo della complessa trama storica dell’isola, è ancora più arduo da stabilire. Come si è visto, i due oggetti non sono stati abbandonati per cessata funzionalità e del resto la cavità naturale, posta in alto sul fianco della montagna, esclude la possibilità di una deposizione funebre. Il contemporaneo rinvenimento di ceramiche medievali in possibile associazione con le armi e, per quanto noto, con queste cronologicamente compatibili, induce piuttosto a ritenere la grotta oggetto di occupazione, sicuramente almeno temporanea ma forse addirittura di stabile abitazione. Così l’abbandono della spada e del giavellotto potrebbe essere stato provocato dall’abbandono della cavità forse perché non più funzionale oppure per il venir meno delle stesse motivazioni che avevano spinto ad occuparla. In questa prospettiva però, un fatto è apparentemente senza spiegazione e cioè la mancata asportazione di armi ancora funzionali in vista di un loro prolungamento d’uso che potrebbe trovare spiegazione con un abbandono non volontario della grotta. E’ noto infatti che una caratteristica del mondo medievale è proprio la pratica di prolungare l’uso di beni mobili ed immobili di qualsiasi materiale ma soprattutto di quelli metallici tanto che quando ciò non era più possibile se ne alterava la destinazione funzionale primaria attraverso modifiche, anche sostanziali, della struttura originaria allo scopo di continuare a sfruttare un manufatto il cui costo di privazione era superiore a quello dello sforzo manutentivo.

Come si vede si tratta di incertezze ed ipotesi di lavoro che una lettura archeologica di tutti gli elementi disponibili (stratigrafie, contesti di oggetti e loro relazioni fisiche) può contribuire a mettere a fuoco raggiungendo più precise informazioni sulle relazioni cronologiche e strutturali intercorrenti tra il nucleo di ceramiche, le armi e la grotta. Considerando gli oggetti in questione con dignità di documenti archeologici, cioè come elementi di un contesto più ampio, è così possibile stabilire con chiarezza il senso della loro presenza nella cavità e cioè la provenienza (risultato di attività commerciale o razzia), i caratteri d’uso (dotazione personale o ripostiglio) e le cause dell’abbandono, tutti dati che, come si vede, attengono alla ricostruzione storica ed archeologica del medioevo di Pantelleria. Oltretutto la stessa isola, ai confini del mondo musulmano e cristiano, è un punto di osservazione archeologico di primo rilievo per la valutazione di modi, tempi e caratteri dei rapporti tra le due aree culturali.

A.V.D. Università di Firenze- Dipartimento di Studi Storici e Geografici.

 

 

I materiali

1. Spada in acciaio con lama a due taglienti, di sezione ellittica con leggero sguscio centrale, pomo a mandorla ed elsa a bracci ricurvi verso la lama, appiattiti ed espansi alle estremità. Mancante della punta e di un braccio dell’elsa, è ricomposta da frammenti ed integrata per una lunghezza di cm. 55 corrispondenti a circa 2/3 della lunghezza originale.

Lama a sezione lenticolare per tutta la lunghezza, elsa a croce a sezione rettangolare con bracci volti verso la lama, pomo discoide appiattito a sezione rettangolare. L’oggetto si presenta molto frammentato, la lama, in cinque pezzi, è lacunosa e manca della punta. Origine la lunghezza della lama doveva essere di 70-80 centimetri, cosa che, vista anche la sezione del pezzo, fa intendere come l’arma fosse annoverabile tra quelle nate in àmbito cavalleresco e destinate ad un uso prevalentemente di taglio. L’elsa, robusta ed arcuata per parare e fermare i fendenti fa poi dedurre che questa spada venisse usata da chi non indossava protezione passiva di piastra, ergo in un momento in cui lo sviluppo dell’armatura vera e propria era ancora di là da venire. Il còdolo, robusto e trapezoidale conferma quest’interpretazione ed anche la relativa antichità del manufatto. Il pomo, grande e pesante, è destinato ad assolvere il compito di scaricare adeguatamente le vibrazioni, bilanciando l’arma nel suo impiego di fendente. Sulla lama si evidenzia un resto di legname che testimonia come l’oggetto sia stato posto in giacitura dotato di fodero e dunque non smarrito nel momento d’uso.

Tipologicamente l’arma risulta conforme al tipo XIIIB della classificazione Oakeshott. Si tratta in effetti, di un tipo di manufatto che si ritrova diffusamente in tutta l’Europa ma che per ciò che concerne specificamente l’andamento dell’elsa, trova maggiori rispondenze in ambito mediterraneo. Benché infatti, sia ravvisabile nel soffitto della Cattedrale di Lincoln (c. 1280) un’arma assai simile, gli esempi storicamente documentabili, della diffusione di tale foggia, si riscontrano principalmente in Italia e Spagna. Solo a livello esemplificativo si può ricordare un’arma dall’impugnatura analoga nella lunetta riferita a Nicola Pisano sulla facciata del Duomo di Lucca. Altro raffronto possibile è inoltre quello con la spada di Sancho IV ‘il bravo’ di Castiglia (m. 1295) nella cattedrale di Toledo. Qui però, la forma discoidale del pomo non si propone in termini di totale appiattimento come nel nostro caso ma, piuttosto come solido originato da un trapezio isoscele, dai lati omologhi inflessi e convessi, fatto ruotare intorno ad un’asse coincidente con la base maggiore. Merita appuntare l’attenzione sul fatto che in Spagna e Portogallo la tipologia a disco appiattito avrà particolare fortuna e tenderà a mantenersi sino agli ultimi anni del Quattrocento. Tra le armi sin qui pubblicate nei repertori o nei cataloghi specialistici si avvicinano a quella in esame vari esemplari non databili come quello conservato nel Museo di Archeologia ed Etnologia del Downing College, a Cambridge, quello del Museo Askeri di Istambul senza data iscritta ma certo già trecentesca per la presenza del bottone piramidale del pomo oppure quello presso il Museo d’Arte Medievale e Moderna di Modena. Nessuno di questi pezzi ed ancor meno quello in esame, possono essere verosimilmente ricondotti al tardo Quattrocento, perché in nessun caso la lama appare provvista di ricasso, vale a dire il ringrosso a sezione rettangolare che nella seconda metà del secolo appare pressoché invariabilmente sulle armi di qualità medio-alta. Vale comunque la pena di ricordare una pregevole spada che nella sua semplicità generale può essere ricollegata alla nostra ma che presenta la su citata caratteristica nonché la data iscritta in lingua araba 1452, parte del tributo annuale inviato da Re Giovanni II di Cipro al sultano mamelucco Al Ashraf Sayf al-Din.

 

2. Ferro di arma d’asta con cuspide a sezione quadrangolare e cannone troncoconico dotato di foro per il fissaggio all’asta lignea. Ricomposta da due frammenti per una lunghezza totale di cm. 23.

Punta a sezione quadra, gorbia troncoconica. Si tratta con ogni probabilità della cuspide di un’arma da getto, forse d’uso civile, dunque adatta alla caccia. La semplicità del tipo non permette particolari precisazioni in merito ad origine e datazione. L’oggetto, la cui parte conica è stata realizzata saldandola per fucinatura longitudinalmente partendo dall’appiattimento della barra parallelepipedale da cui è stata ricavata la cuspide, potrebbe essere variamente definito. Sino ad oggi non si è infatti fatta chiarezza sulle differenze morfologiche sottese ad indicazioni documentarie che ci parlano di “giavelline”, “chiaverine”, “giannette” e via dicendo. Pur partendo dal presupposto che in origine non fosse previsto un calzuolo ad equilibrare all’estremità opposta l’arma, questa dovette essere di lunghezza contenuta. Può essere di qualche interesse notare che una cuspide d’analoghe proporzioni, ma con la punta a foglia di salice, cioè a sezione romboidale, che la farebbe dunque ritenere un pò più specializzata e tarda, sia stata rinvenuta a Rocca S. Silvestro in concomitanza con manufatti che la farebbero datare al 1340-1360. In mancanza di studi specifici a largo raggio conviene segnalare un lavoro recentemente edito sulla “virga”, una delle poche armi regionali ma più latamente mediterranee, avendosene notizia in Spagna come a Genova, cui si è potuto dare una precisa identificazione. Anche quest’arma si proponeva con una cuspide piramidale ma certo di notevoli dimensioni, con calzuolo alla estremità opposta. Con qualche probabilità l’esemplare in esame è una giavellina, anch’essa di derivazione dal mondo classico come la citata “virga”.

M.S. Soprintendenza ai Beni Artistici di Firenze

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