Storia

Pantelleria – La figlia dei venti

 

del  Prof. Joseph Brincat  (Malta, agosto 2000)

Quando ho ricevuto un invito per partecipare ad un incontro a Pantelleria, la mia conoscenza dell’isola era limitata al fatto che in passato si parlava una lingua molto simile al maltese.

Ho scoperto tale somiglianza leggendo un paio di articoli di Giovanni Tropea relativi al dialetto “pantesco” che mi hanno permesso di realizzare uno studio comparato, “Malta e Pantelleria: alla ricerca di un sostrato comune”, basato principalmente sul suo sostrato semitico, per il Journal of Maltese Studies, n. 11, nel 1977. L’articolo è stato citato da Tropea in “Lessico del dialetto di Pantelleria” (CSFLS, 1988), e da Varvaro in “Lingua e storia in Sicilia” (Sellerio, 1981) ed è stato quindi riconosciuto dai membri di Ambiente e/è Vita che hanno organizzato una conferenza su «Pantelleria e il Mediterraneo » il 16 luglio 2000.

Con il supporto del Comune dell’isola e della Provincia di Trapani hanno invitato uno storico, un antropologo, un linguista e due archeologi. Il meeting si è tenuto all’interno del cortile dell’imponente castello che difende il porticciolo dal 1086 e che fino a qualche decennio fa era utilizzato come stazione militare ai piani superiori e come prigione a piano terra.

STORIA

Il primo oratore Henri Bresc, esperto di storia medievale siciliana, ha illustrato il ruolo di Pantelleria quale avamposto di ricognizione per i suoi diversi invasori: prima della conquista normanna nel 1127 era utilizzata per avvisare la Tunisia quando la flotta siciliana era pronta tramite l’invio di colombi viaggiatori. In seguito si è soffermato sugli avvicendamenti di Pantelleria tra l’Islam e il Cristianesimo. A causa della sua posizione quale primo approdo verso la Sicilia, fu attaccata già nel 700 dai musulmani che la distrussero e l’abbandonarono. Tra la conquista araba di Cartagine e l’840 diede rifugio ai cristiani nordafricani che rimasero fedeli alla Chiesa e allo stato bizantino e quindi mantennero il suo carattere greco e i valori culturali che andavano perdendosi a Cartagine.

L’isola fu conquistata definitivamente dagli Aghlabiti (Ibn Khaldun attribuisce l’impresa a Ziyadat Allah ma non fornisce date) che respinsero un attacco bizantino nel 834-5 (Amari, 1880-81). La ferocità della successione è menzionata in un’opera di Ibn Hamdis, il quale accenna a un radicale spopolamento dopo che gli abitanti cristiani furono massacrati, e da al-Dimishqi. Non è noto quando i parlanti di lingua araba si insediarono, ma Bresc sottolinea che Pantelleria mantenne per un lungo periodo il peculiare “regno arabo” protetto dai primi re normanni, dove le comunità professanti religioni differenti, ma unificate dalla lingua (l’arabo di Sicilia), erano dominati da un governo feudale locale subordinato alla monarchia e amministrato da una burocrazia di lingua greca e araba.

A Pantelleria nel XIV e XV secolo una maggioranza di agricoltori e artigiani musulmani e una minoranza di giudei di lingua araba che erano mercanti e artigiani furono dominati socialmente dai conquistatori catalani e genovesi (amministratori e soldati) e dai cristiani mozarabi. Tale modello ebbe vita breve in Sicilia, probabilmente perché fu sopraffatto da una massiccia immigrazione di borghesi di lingua latina e da conversioni di massa, mentre i leaders musulmani emigrarono nel Maghreb. Il modello fu applicato anche a Malta dove una comunità mista di cristiani e musulmani è stata documentata possibilmente già nel 1053-54 (al-Himyari e al-Qazwini distinguono tra i “musulmani” e i loro “schiavi”), e certamente dal 1091 fino al 1245-6.

La differenza principale tra Malta e Pantelleria fu che Malta venne cristianizzata prima, ma non completamente latinizzata, mentre Pantelleria fu abitata da una maggioranza arabo-musulmana come minimo fino al 1490. I documenti non parlano di un esodo di massa ma pare che gli abitanti di Pantelleria si fossero allontanati lentamente dall’Islam attraverso l’indifferenza.

La cristianizzazione iniziò nel 1353 ma, come a Malta, non ci fu pressione per la latinizzazione.

Questo significa che tra il XIV e il XVII secolo Pantelleria stava seguendo il modello maltese di una diglossia semitico-romanza. La comunità mudejar potrebbe essere emigrata nel 1492 o potrebbe essersi estinta lentamente, ma la lingua ha resistito. Bresc sottolinea che nel 1670 si parlava ancora il dialetto arabo di Pantelleria: un mercante francese che voleva comunicare con gli isolani dovette chiedere aiuto ad un interprete maltese.

 

 

LINGUA

Niente si sa del passaggio dall’antico arabo al nuovo dialetto siciliano (è più facile spiegare la diffusione dell’italiano nel XX secolo). Il calo della popolazione può aver giocato un ruolo importante, così come l’immigrazione cumulativa da Genova e dalla Sicilia.

Lo studio che ho presentato a questo incontro in effetti affronta i contrasti e le somiglianze tra la situazione linguistiche di Malta e Pantelleria quali opposti avamposti dei blocchi semitico e romanzo. Mentre il maltese può essere definito il più romanizzato dei dialetti arabi, il pantesco è certamente il più semitico dei dialetti romanzi.

Piuttosto intrigante è il fatto che le posizioni geografiche suggerirebbero un’ipotesi diversa: essendo molto più vicina alla costa africana (70 Km) Pantelleria dovrebbe logicamente parlare un dialetto semitico, mentre Malta, essendo più vicina alla Sicilia (90Km) che all’Africa (300 Km), dovrebbe parlare un dialetto romanzo.

Ma i principi di geografia linguistica sono stati smentiti dagli eventi storici e dagli sviluppi demografici. Mentre la popolazione di Pantelleria, con le sue numerose incursioni e riassetti, ammontava a 4600 nel 1757 e crebbe fino a 7000 nel 1881, la popolazione di Malta aumentò stabilmente dai 5000 abitanti del 1048 ai 380.000 odierni. Ci sorprende notare che Pantelleria è un’isola con un’area di 83 km, un po’ più grande di Gozo (67 km), ma è abitata solamente da 7000 persone contro i 25.000 di Gozo. Non si può fare a meno di dedurre che Malta avrebbe dovuto essere in qualche modo simile, se non fosse stata sviluppata dai Cavalieri e dai Britannici.

Apparentemente il contrasto nello sviluppo è dovuto principalmente al nostro Porto Grande in quanto Pantelleria aveva, ed ancora ha, un porto molto piccolo. In uno studio su “Lingua e demografia a Malta. Le fondazioni sociali della simbiosi tra semitico e romanzo nel maltese standard” (1991), spiegai le implicazioni sociali e linguistiche dello sviluppo dell’area portuale sotto i Cavalieri, attribuendo alla crescita della popolazione (appena 1000 nel Borgo nel 1530, oltre 40.000 nel 1798) la standardizzazione della lingua maltese, un processo che continuò nel XIX secolo.

A Pantelleria le comunicazioni tra i villaggi interni e la città portuale erano così difficili fino alla prima metà del XX secolo che provocarono lo sviluppo di due diverse varietà di dialetto siciliano, il più antico con un forte sostrato arabo, e il più recente di tipo trapanese. Oggigiorno l’italiano regionale di Sicilia ha preso rapidamente piede, a causa di fattori centralizzanti quali la costruzione di strade e dell’aeroporto, la dipendenza amministrativa da Trapani, l’influenza della televisione e l’influsso turistico. La differenza si può facilmente notare nella pronuncia del suono semitico h (aspirato) che viene sostituito da K in tutti i nomi di luogo (Kàmma, ReKàle, TiKhirrìKi, DaKhalé, GelKamar, Khàgiar, Khafféfi, Khanìa, Khareb, Kharucia, Khufirà).

Quasi tutti i toponimi rurali sono di origine araba, come dimostrano chiaramente quelli sopracitati in quanto corrispondono ai termini maltese hamm (calore e caldo), rahal, triq-ir-rih, dahla, gebel ahmar, hagar, haffiefa, hnejjja, herba, (arte) harxa, hofra.

Altri toponimi sono ugualmente trasparenti: Balata dei Turchi, Fram (panificio), Gadir, Monte Gibele, Gibiuna, Kuddia (una collina), Maggiuluvedi (marg-il wied), Mastra (un mulino), Salibi (un incrocio), Sciuéki, Sillumi (una scala ) Triqnakhalé, Ziton (un uliveto), Zubebi (uva passita).

Persino il nome bizantino di Pantelleria deriva dall’arabo Bent al-arijah e corrisponde al maltese Bint l-irjieh.

L’elemento arabo è generalmente tipico di una cultura rustico-primitiva, dipendente dall’agricoltura locale, come ho sottolineato nel mio articolo citato precedentemente (Brincat 1977) a cui faccio riferimento per il lettore interessato ad un’esposizione più ampia. Qui darò solo alcuni esempi che per chi parla maltese non richiedono spiegazioni: “àrfa, ddukkéna, hàma, kennì, ballutu, hurrìh (hurrieq), lillucia, zubbàra, hazzésa, mahòtu, nnòkkulu, bbarnùsu, hasìra, kùbba, rruddéna, tàba, zzarbùni, zzìbbula, hanéhi (hanek), kallutu, zzuzzuniàri”, e alcuni termini marittimi: “bbirkàciu (burqax), bbommarinu, firdìkula (artikla), rroci ì mari (raxx-il bahar)”.

Questi pochi esempi (che includono una coppia di termini romanzi peculiari al maltese e al pantesco) danno una chiara idea della profondità e della vastità di questi contatti, ma è importante notare che la loro natura primitiva indica che la relazione non è diretta (una influenza l’altra). Consiste di due parlate superstiti, isolati e distinti, di una situazione linguistica che era largamente più diffusa un migliaio di anni fa. In questo sussiste il loro interesse per gli studi storici comparativi, soprattutto negli elementi arabi che vi si conservano ma che sono andati persi in Sicilia e che possono anche aver subito cambiamenti nella lingua del Maghreb.

ANTROPOLOGIA

Penso che l’elemento semitico verrà sempre meno a Pantelleria, in quanto ho potuto notare che molti di questi termini non sono familiari tra i giovani e le persone di mezza età (per esempio hasirà è diventato cannizza). La lingua, che non si è mai standardizzata, è cambiata molto da quando Tropea completò i suoi studi negli anni Sessanta, il che prova che una comunità molto piccola non può resistere a forti pressioni sociali dal momento che non è più isolata. Ciò fu scoperto da Anthony Galt (Università del Wisconsin) che visse a Pantelleria per 15 mesi durante la sua ricerca di dottorato in antropologia culturale.

Nella sua relazione Galt ha presentato i risultati della sua ricerca del 1868-69, illustrando la tensione tra atomismo o “familismo amorale” (menefreghismo) e il bisogno di solidarietà da parte della comunità. Pare che i panteschi rurali siano individui caratterizzati da divisione e diffidenza e che la loro vita sociale sia limitata all’appartenenza al circolo, di cui se ne trovano due o tre in ogni villaggio.

Sorprendentemente per noi maltesi, non celebrano le feste religiose con il nostro sfarzo e fuochi artificiali, tanto meno hanno circoli parrocchiali rivali o club di partiti politici. I loro circoli sono strettamente legati a svaghi sociali, quali guardare la televisione o organizzare una piccola festa in occasione di battesimo o matrimonio.

La loro unica celebrazione è il Carnevale che dura sette giorni suddivisi sull’arco di tre settimane e consiste principalmente in balli presso il circolo a seconda delle diverse regole la cui complessità fu descritta da Galt nella rivista Ethnology, XII, 3 (1973). Egli inoltre ha trattato delle relazioni patron-clientelari e della superstizione, e in modo divertente ha spiegato il rituale a cui sua moglie Janice dovette sottoporsi quando un giorno espresse la sua ammirazione di una mucca che il giorno dopo smise di produrre latte.

 

 

ARCHEOLOGIA

Enrico Giannitrapani ha riferito sugli scavi di un villaggio dell’età del bronzo a Mursia che avevano rivelato alcune fondamenta ovali di capanne (7m per 3m) che circa 4000 anni fa fungevano da abitazioni.

Il villaggio era situato su un promontorio che una strada di recente costruzione ha separato dai siti funerari conosciuti come Sesi. Questi assomigliano a grandi capanne a pietra secca, come quelle conosciute come giren a Malta, ma all’interno non sono vuoti; queste strutture circolari di pietra hanno semplicemente dei corridoi lunghi e stretti che portano a camere funerarie individuali. L’edificio più grande è composto da circa otto corridoi che convergono, ma non si incontrano, al centro come i raggi di una ruota. E’ circondato da 27 piccoli sesi e dev’essere stato utilizzato per il capo famiglia o per gli eroi della comunità.

Nell’era neolitica l’ossidiana di Pantelleria si diffuse non solo a Malta e Lampedusa ma anche nel sud della Francia, nell’Adriatico e in Grecia. L’isola contiene numerosi resti del popolo fenicio, che la chiamava Cossyra: una banchina all’interno dell’attuale porto, alcuni muri che proteggevano l’acropoli, vasche spaccate nella roccia, urne e frammenti; questi siti però attendono scavi appropriati. Tracce del periodo medievale includono i resti di un monastero e di alcune tombe bizantine.

 

 

TURISMO

L’economia si sta lentamente spostando dall’agricoltura al turismo ma finora l’isola è largamente intatta. La sua natura vulcanica offre un feeling strano ma familiare, in quanto i campi sono allineati con muretti di pietra secca e i contadini vivono in dammusi di pietra con cupole basse, ma le pietre sono nere, e le rocce sono altrettanto nere, giù fino all’acqua.

Non ci sono spiagge sabbiose ma le cale rocciose e le cave sono amate dai sommozzatori e possono essere ammirate facendo la gita in barca (giornaliera, vento permettendo), o in macchina o bicicletta facendo il giro di una strada perimetrale lunga 40 km. Altre strade collegano i villaggi caratteristici e si arrampicano fino al monte di 830m che s’innalza al centro dell’isola e offre una vista spettacolare.

Ho sentito dire che occasionalmente i proprietari di yachts si avventurano da Malta (220 km), tuttavia sarebbe un peccato se non dessero uno sguardo anche all’interno. Il piccolo porto ha poco interesse, rassomigliante a Mgarr con un po’ di Bugibba da quando i vecchi edifici furono rasi al suolo dagli alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. La popolazione locale è convinta che lo sganciamento di 6400 tonnellate di bombe in 30 giorni non era realmente necessario ma Frank Capra voleva un buon documentario a scopi propagandistici.

Il resto dell’isola è molto verde e vario: vi sono vigne a terrazza costellate da capanne simili ai nostri giren, boschi di pini e querce, come i 1500 ettari che ricoprono i pendii della montagna, oltre alla macchia, e la gariga presso il mare. Mini-bus con autista sono molto convenienti e vi possono portare a godere di panorami insoliti come il Lago di Venere con le sue acque ribollenti dove la gente sguazzi nei fanghi termali gratuiti, il cratere di Kuddia Mida, saune naturali e la favara, dove da rivole e gole fuoriescono vapori. Questi ci ricordano che, nonostante l’ultima eruzione ebbe luogo 8000 anni fa, l’isola riposa su un vulcano. Le attività più recenti nel 1831 e 1891 hanno provocato la fuoriuscita dal mare di due isole, rispettivamente cinque e un chilometro di lunghezza, ma entrambe sono ora sommerse. Sono state scientificamente monitorate da Erice.

Fra l’altro, i loro dolci tipici sono i mustazzola a Natale e pasticciotti a Pasqua. I primi sono simili ai nostri qaghaq tal-ghasel ma più piccoli, e i secondi sono i nostri figolli. Nell’epoca del cabotaggio le relazioni sociali devono essere state più frequenti come dimostrano alcuni cognomi:

“Di Malta” e “Maltese” si trovano a Pantelleria ma non a Malta e viceversa “Pantelleresco” esiste a Malta ma non a Pantelleria.

Quale prova di questi movimenti del passato, il direttore generale della cooperativa di capperi mi ha raccontato che sua nonna era una Debattista di Gozo: la sua famiglia era emigrata a Lampedusa dove lei si sposò, e suo figlio successivamente si trasferì a Pantelleria.

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