Archeologia,  Storia

I SESI

 

I Sesi (13)

 

Stando alle conoscenze odierne, i primi abitatori stanziali sarebbero  uomini del neolitico che 5 mila anni fa arrivano dalle coste  nordafricane, probabilmente da Kelibia, attirati dalla presenza  dell’ossidiana, ottima per la fabbricazione di armi e utensili da  taglio. La loro eredità più cospicua è costituita dai sesi, vale a dire le megalitiche strutture che riflettono moduli simili alle navetas o ai talayots balearici, alle torri della Corsica e ai nuraghi sardi. La differenza  principale è che non presentano una struttura cava all’interno, per cui  la loro tecnica costruttiva appare più rudimentale e con ogni  probabilità anteriore. Di pianta ellittica o circolare, risultano spesso  sormontati da una chiusura conica. Vengono eretti fuori del villaggio,  su aree piane. Nelle loro celle si sono rinvenuti quattro sarcofagi e  vasellame vario, per cui si ritiene siano monumenti funerari, anche se  non si esclude qualche altra funzione aggiuntiva. Dei 57 sopravvissuti  alle calamità naturali e antropiche, soltanto uno è rimasto  sostanzialmente integro. È il cosiddetto Sese del Re, se non altro perché le dimensioni superano quelle di tutti gli altri.

La sua altezza è di circa 5 metri e mezzo, mentre gli assi hanno misure  doppie e quadruple. È formato da dodici vani, situati al centro, e da  altrettanti corridoi e ingressi.

Intorno al X secolo a.C. giungono i  Fenici, che trasformano il sito in un punto d’appoggio presidiato, in  grado di costituire un’utile stazione per lo sviluppo dei traffici  marittimi. Tra l’altro edificano uno scalo con testata a ipsilon e  addentrato nella terraferma proprio dove si trova anche il porto  odierno.

Seguono gli arrivi dei Cartaginesi e dei Romani. Ed è in questo periodo che sorge l’Acropoli di San Marco.  Si tratta di due piccoli rilievi collegati da una sella. L’altura  domina l’area nordoccidentale conservando ancora tracce monumentali. Si  possono vedere poderose mura di terrazzamento, e forse di  fortificazione, oltre che varie cisterne in ottimo stato, alcune delle  quali d’età punica. Così almeno dicono le comparazioni con analoghi  manufatti rinvenuti altrove e di cui si conosce con una certa sicurezza  la paternità. Resti delle strutture originarie si notano poi inseriti  come materiale di reimpiego in lavori d’età successive. Si tratta di  lastre, capitelli, fusti di colonne e scabre statuette votive, che  rimandano alla presenza di opere connesse a un luogo sacro.

Poi sopraggiungono i Vandali di Genserico e subito dopo i Bizantini. Spunta allora il nucleo iniziale del castello di Barbacane,  che stranamente prende il nome da uno degli elementi costitutivi dei  fortilizi medievali. Nell’accezione più arcaica indica le feritoie  verticali per poter colpire i nemici restando riparati. Nel significato  più comune designa il terrapieno addossato all’ingresso principale o  alle zone più vulnerabili. Il maniero è citato nel Carme pisano,  dove si narra che nel 1087 l’isola subisce un assedio a opera delle  Repubbliche Marinare e resiste grazie a una rocca che non ha eguali al  mondo. Interamente costruito in pietra lavica, domina il litorale come  una colossale guardia vestita di scuro.

È composto di quattro piani, frutto di progressivi ampliamenti dettati  dalle sempre più complesse esigenze che dovrebbe soddisfare. L’ultima  aggiunta è la torretta con l’orologio a quadrante luminoso collegata con  due campane. Risale al 1774 ed è dovuta a Ferdinando IV di Borbone. Qui  viene ucciso Giovanni Squarciafico, feudatario dell’isola nella prima  metà del Quattrocento. Ma entra nella cronaca soprattutto nel marzo del  1848. La piazza, sull’eco dei moti irredentistici di Palermo, decide di  attaccare la guardia civica. I soldati riescono però a disarmare gli  assalitori e li rinchiudono in un’ala della fortezza. Poi, su ordine del  capitano, sparano alla cieca sui prigionieri e alla fine si contano 15  morti.

 

Testo di Lorenzo Iseppi

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