Archeologia,  Storia

CIVILTA’ DEI SESI ED ETA’ DEL BRONZO A MURSIA

Ripresa aerea dell’area dell’abitato protostorico di Mursia

 

 

Agli inizi di Maggio 2002 sono ripresi gli scavi archeologici nell’area dell’abitato dell’antica età del bronzo (intorno al XVIII-XVI secolo a.C.) di Mursia Cimillia a Pantelleria. Gli scavi vengono condotti dal Servizio per i Beni Archeologici della Soprintendenza per i BB. CC. AA. di Trapani, in collaborazione con l’Università di Bologna, e l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli. Un fattivo contributo alla conduzione dei lavori proviene dal Comune di Pantelleria e dall’Archeoclub d’Italia, sede di Pantelleria e dall’Associazione Amici di Pantelleria.

Fondamentale è la collaborazione della famiglia Di Fresco, proprietaria del Cossyra e Mursia Hotel.

I lavori organizzati dall’Assessorato Regionale dei BB.CC.AA. e P.I. con fondi europei, sono diretti da Sebastiano Tusa con la collaborazione dell’archeologo Fabrizio Nicoletti e l’assistenza di Filippo Occhipinti e Giovanni Calandrino.

Lo scavo si è concentrato nella terrazza inferiore prospiciente il mare, dove furono già effettuati scavi archeologici da Paolo Orsi nel 1895, e da Carlo Tozzi alla fine degli anni ’60 del secolo appena finito e nella terrazza intermedia dove due capanne erano state messe già in luce dal Tozzi.

L’importanza dell’insediamento di Mursia è data dal suo stato di conservazione che permette di scorgere con chiarezza l’abitato costituito da capanne ben conservate in un’area ben delimitata dal possente muro di cinta che lo difendeva sul fianco interno che guarda l’area occupata dalla necropoli megalitica composta da oltre 50 tumuli detti localmente “Sesi”.

Il villaggio è delimitato sul versante che guarda il mare da scoscesi pendii.

Culturalmente il villaggio di Mursia si collega alla cultura siciliana detta di Rodì- Tindari -Vallelunga. Pertanto appare ovvio che la genesi di questo villaggio sia da mettere in relazione con un momento di intenso popolamento di Pantelleria ad opera di genti provenienti dalla Sicilia.

Scavo di capanna

Sono state messe in luce le consistenti tracce di numerose capanne ovali seminterrate ed accostate tra loro pertinenti una prima fase dell’insediamento. In una seconda fase le capanne diventano rotonde o irregolarmente quadrangolari e più piccole: In una terza fase alle capanne preesistenti si addossano piccoli vani quadrangolari. Si nota, pertanto, un’evoluzione architettonico-urbanistica che permette successivamente l’edificazione di edifici costituiti da più vani unitariamente costruiti. Una pianta complessa che si giustifica soltanto in un contesto culturale complesso che ha avuto stimoli evolutivi basati su necessità socio-economiche più avanzate.

Il passaggio dalla semplice capanna isolata all’edificio complesso multicamerale è, nel Mediterraneo centrale, indizio di processi di complessizzazione socio-economica basati spesso su stimoli provenienti dall’esterno. In particolare in altri siti, come il villaggio dei Faraglioni di Ustica e Thapsos, presso Siracusa, simili fenomeni di evoluzione urbanistico-architettonica si giustificano con una forte presenza di elementi diagnostici che indicano la presenza attiva di quei siti nelle reti commerciali marittime gestite dai trafficanti micenei.

La coincidenza di quanto avviene a Pantelleria con questi ed altri siti più o meno coevi del mediterraneo centrale è evidente ed ha ricevuto un’ulteriore riprova dalla scoperta proprio nel corso di questi scavi a Mursia di eccellenti indicatori di presenza micenea a Pantelleria. Sono stati trovati un frammento di olla carenata ben tornita e decorata da motivi geometrici lineari dipinti attribuibile ad una produzione mesoelladica probabilmente del Peloponneso ed una perlina in pasta vitrea azzurra, alcuni monili in faience di provenienza micenea e numerose ceramiche micenee e orientali. I reperti, essendo di produzione micenea, o comunque elladica, indicano, con la loro presenza che il villaggio di Mursia entrò in contatto con i mercanti micenei. Questo risultato scientificamente eccezionale è foriero di ulteriori sviluppi che permetteranno di scrivere un’altra pagina della storia più antica dei commerci mediterranei confermando il ruolo fondamentale di Pantelleria anche in quel periodo come snodo importante nelle rotte mediterranee.

 

La civiltà dei sesi di Pantelleria e l’insediamento dell’età del bronzo di Mursia

Premessa

E’ possibile che il popolamento di Pantelleria sia avvenuto già nel neolitico, cioé intorno al V millennio a.C.; ma certamente l’isola era già frequentata durante l’eneolitico (III millennio a.C.). Ciò si desume dalla presenza di ossidiana pantesca rinvenuta in contesti così antichi sia in Sicilia che a Malta. Una delle attrattive principali per l’uomo preistorico dovette essere, infatti, il prezioso “vetro vulcanico” che abbonda in più zone dell’isola. E’ noto che l’ossidiana, non appena viene conosciuta in seguito all’esplorazione delle zone di estrazione (Lipari e Pantelleria), viene subito apprezzata per le indubbie qualità ed efficacia nella produzione di strumenti litici (Trump 1963).

Tuttavia, pur avendo la certezza che genti siciliane e maltesi si rifornirono di ossidiana pantesca in periodi così remoti, non abbiamo alcun dato certo sull’occupazione così antica di Pantelleria. Le testimonianze insediamentali più antiche risalgono, infatti, all’antica età del bronzo, e cioé ai primi secoli del II millennio a.C. Si tratta del ben noto villaggio fortificato di Mursia e dell’adiacente necropoli costituita da quei singolari ed originali monumenti, ignoti al di fuori di Pantelleria, che vengono denominati sesi.

Fu Orsi che comprese per primo e con il solito entusiasmo che lo contraddistingueva l’importanza e l’alta antichità di questi singolari monumenti (Orsi 1899). Orsi, incurante dei disagi invernali e delle attrattive del Natale, trascorse a Pantelleria il periodo compreso tra il 25 dicembre 1894 ed il 2 febbraio 1895 per raccogliere la più completa rassegna di dati sulle antichità pantesche e, quindi, anche sui sesi e sul vicino villaggio, che noi oggi possediamo, qualificando, quanto già sporadicamente ed imprecisamente si conosceva (Cavallari 1874; Dalla Rosa 1871; Idem 1872; Vassie 1894).

Da allora niente fu fatto a Pantelleria fino agli anni ’60, quando la Soprintendenza Archeologica di Palermo restaurò il sese grande, l’Università di Roma effettuò una breve ricognizione alla ricerca della Pantelleria fenicio-punica (Verger 1966; Idem 1966 a) e quella di Pisa condusse due campagne di scavo proprio nel villaggio di Mursia (Tozzi 1968; Idem 1978).

Che Orsi abbia intuito l’importanza dell’evidenza pantesca, e dei sesi in particolare, è fuori di ogni dubbio. Purtroppo Egli non ebbe l’opportunità ed il tempo per approfondire quella scoperta. Del resto lo spunto per effettuare quella ricognizione, in un luogo così lontano dalla “Sua” Siracusa, gli era stato offerto da una contingenza politica, più che da un’esigenza scientifica, su invito (o imposizione ?) di Luigi Pigorini, il Padre della Paletnologia Italiana. Fu, infatti, uno strano episodio di effimera invasione francese dell’isola di Pantelleria a indurre il Ministero della Pubblica Istruzione a mandare una missione italiana per studiare “i monumenti e gli avanzi di ogni età, colà esistenti.” Come si è spesso verificato, la ricerca archeologica, dimenticata e maltrattata in tempo di pace, veniva caldeggiata, come veicolo apparentemente innocuo, per nascondere un malcelato disegno egemonico politico-militare.

 

L’insediamento di Mursia e la civiltà dei sesi

 

I sesi di Pantelleria (il loro numero totale è ignoto poichè dei 58  segnalati da Orsi non tutti sono oggi visibili anche se altri se ne sono aggiunti recentemente in seguito a ulteriori esplorazioni) sono strutture circolari a tronco di cono, costruite secondo una tecnica megalitica ed adibite ad esclusiva funzione funeraria. La loro tipologia riflette il modulo a torre ben noto nelle altre isole del Mediterraneo centrale : dalle navetas e talayots balearici, alle torri della Corsica ed ai nuraghe sardi. Ovviamente tali generalizzazioni hanno ben poco senso poichè ogni articolazione locale di tale modulo assume le sue peculiarità formali e tecniche specifiche, nonchè le proprie motivazioni filogenetiche.

I sesi, infatti, a differenza dei simili monumenti succitati, non presentano una struttura cava all’interno, sicchè la loro tecnica costruttiva risulta estremamente elementare. Ad un paramento ben costruito con poderosi blocchi corrisponde una struttura interna a sacco di pietrame vario. Soltanto ai fianchi venivano costruite una o più piccole cavità adibite al rituale funerario. Una struttura, quindi, estremamente semplificata che per nulla sembra richiamare le arditezze della statica talayotica delle Baleari, torreana della Corsica e nuragica della Sardegna, e che semmai ne riprende soltanto le esperienze formative.

E’ proprio con i monumenti più antichi che possono collocarsi alla base dell’insorgenza nuragica che troviamo gli elementi più significativi di confronto tipologico e tecnico. Ci riferiamo ai nuraghi a corridoio o ‘pseudonuraghi’ – da Albucciu a Peppe Gallu e Bruncu Madugui –  caratterizzati dalla netta prevalenza della muratura sullo spazio vuoto fruibile. Questa tipologia trova ulteriori confronti in Francia con alcuni tumuli databili al neolitico medio, quali quelli di La Hogue e La Hoguette, in Calvados.

Penso che per spiegare l’originalità dell’acquisizione pantesca del modulo a torre piena bisogna tener conto di ciò che la vicina tradizione siciliana  dei rituali funerari contemporanei comportava. Ciò anche in virtù del fatto che la sfera culturale nella quale l’orizzonte pantesco dei sesi si inserisce è quello siciliano cosiddetto di Rodì, Tindari, Vallelunga, Boccadifalco. L’insediamento di Mursia fa, infatti, parte integrante di un vasto areale culturale che vede tutta la Sicilia settentrionale, compreso, quindi, il Palermitano e parte del Trapanese, accomunato dalla presenza di una tradizione ceramica che si distacca sensibilmente da quella imperante precedentemente soprattutto nell’altra parte della Sicilia interessata dalla  civiltà di Castelluccio. Quest’ultima, infatti, è caratterizzata dalla presenza di una ricca e variegata produzione che ha nella decorazione dipinta in nero o bruno su fondo rosso la sua peculiarità maggiore. L’areale culturale cui fa riferimento Pantelleria, nega, invece, qualsiasi cromatismo nella decorazione, indugiando, talvolta, nell’incisione o nell’elaborata soprelevazione delle anse. Queste peculiarità portano alla determinazione che in questo periodo gran parte della Sicilia, compresa Pantelleria, presenta forti analogie con il mondo tirrenico con il quale si trovano diversi livelli di omogeneità tipologica e culturale. Stretti sono, infatti, i legami tra la cultura in questione e quelle di Capo Graziano, alle Eolie, e del Protoappenninico B, nella penisola.

Nell’ambito della cultura di Rodì, Tindari, Vallelunga, Boccadifalco, Mursia la tipologia funeraria rimane sempre ancorata all’idea di tomba ipogeica a grotticella. E’, pertanto probabile che chi impiantò l’insediamento di Mursia a Pantelleria agli inizi del II millennio a.C. (come ci indicano anche le datazioni al radiocarbonio), provenendo dalla Sicilia, portasse con sè tale tradizione. Ma difficilmente poté perseguirla a causa della difficoltà oggettiva di scavare grotticelle nella consistente e frastagliata struttura vulcanica dell’isola. E’ molto probabile, quindi, che il sese nasca dall’esigenza di trasferire la tipologia della tomba a grotticella scavata nella roccia anche sul suolo pantesco. Ma la natura incoerente e friabile della roccia vulcanica locale non permetteva l’intaglio regolare e duraturo delle cellette funerarie. Si determinava, pertanto, l’esigenza di creare un supporto artificiale ove creare efficacemente tale cella pseudoipogeica. Nella creazione di tale supporto di valido aiuto dovette essere l’imprestito formale costituito dall’introduzione del modulo a torre già da tempo diffuso nel Mediterraneo centrale.

Il fenomeno megalitico, quindi, pur essendo presente, anche a Pantelleria acquisterebbe, in realtà, un ruolo estremamente marginale se confrontato con le aree limitrofe del Mediterraneo centrale. Penso, quindi, che l’architettura megalitica pantesca sia tale soltanto nel suo aspetto formale e superficiale, ma non strutturale. Si verificherebbe, tra Sicilia e Pantelleria, anche una convergenza fenomenica. Così come l’introduzione della tipologia della tomba a corridoio o galleria nella Sicilia dell’antica età del bronzo (fine del III millennio a.C.) rimaneva un fenomeno marginale e limitato e, comunque, fortemente modificato nella sua adozione, anche l’inserzione del modulo a torre a Pantelleria rappresenterebbe un elemento tecnico utilizzato per trasferire sull’isola un rituale funerario altrimenti impraticabile.

E’, quindi,  presumibile, che soltanto l’aspetto formale e tecnico dell’architettura megalitica sia giunto in Sicilia dalla Sardegna. Scorgiamo in questo provenire dalla Sardegna il ripetersi di consueti percorsi. E’ lungo lo stesso tragitto che giunse in Sicilia, qualche secolo prima, il Bicchiere Campaniforme che si diffuse maggiormente proprio in quella area del basso Belice dove riscontriamo anche forme di megalitismo ridotto. Sembrerebbe logico, quindi, pensare che i gruppi del Bicchiere abbiano introdotto in Sicilia anche alcuni elementi formali e tecnici di megalitismo. E sarebbe anche possibile che il ripetersi,  nella fase successiva di Rodì, Tindari, Vallelunga, Boccadifalco, Mursia di fenomeni tecnico-formali ascrivibili al megalitismo, come l’episodio dei sesi di Pantelleria, possa sempre far riferimento a quella direttrice di penetrazione dalla Sardegna (Tusa 1990; Idem 1992).

Del villaggio coevo alla necropoli sesiota se ne occuparono Orsi e Tozzi che ne misero in luce consistenti porzioni. Orsi, in particolare, oltre ad alcune capanne circolari ed ovaleggianti lastricate all’interno e dotate di bacini da raccolta litici e macine (messi in evidenza anche dal Tozzi negli anni ’60 del secolo scorso) individuò anche strutture a pianta quadrangolare. Ma ciò che ha da sempre impressionato gli studiosi ed i turisti è il poderoso muro di cinta ancora ben conservato che proteggeva il villaggio capannicolo sul lato di terra. Ha un andamento curvilineo, una sezione trapezoidale ed un altezza conservata di oltre m.5.

Abbiamo ripreso gli scavi nel 2000 concentrando l’attività in due aree del villaggio (terrazzi bassa ed intermedio). Si è già avuta la scoperta di interessanti tracce dell’area abitata costituita da capanne circolari ed edifici quadrangolari che, in una seconda fase di vita, si uniscono formando edifici multicamerali complessi. Tale complessità architettonico-urbanistica è da mettere in relazione con la presenza a Mursia di chiari indicatori di contatti marittimi con l’Oriente mediterraneo ed in particolare con l’Egitto e con la Grecia mesoelladica. In particolare si sono rinvenuti una perlina in cobalto con filo d’oro di origine egiziana ed un frammento di olla carenata dipinta di provenienza mesoelladica. E’ stato possibile, quindi, evidenziare un chiaro processo di acculturazione architettonica che porta le comunità locali ad affiancare alla classica capanna circolare isolata altri vani in modo da realizzare edifici complessi alla maniera orientale.

Degno di nota è un edificio multicamerale con ambiente quadrangolare, parzialmente intaccato da una trincea militare dell’ultima guerra mondiale, estremamente ricco di suppellettile ceramica. Lungo le pareti di detto vano si mettevano in luce decine di vasi di varia dimensione e foggia, nonché un’area adibita alla lavorazione dell’ossidiana, un piccolo podio in terracotta ed una zona chiaramente adibita a scopi rituali.

A parte l’evidenza di Cimillia – Mursia la presenza preistorica a Pantelleria è indiziata attraverso molteplici  rinvenimenti di superficie che meriterebbero ulteriori approfondimenti. Comunque insediamenti coevi sono segnalati a Balata dei Turchi, Mueggin e poche altre località.

La civiltà dei sesi, assimilabile alla facies di Rodì, Tindari, Vallelunga rappresenta, quindi, un esempio di ottimo adattamento ad una realtà insulare minore basato su un corretto rapporto con il territorio, in quanto a capacità di drenaggio di risorse, e su un probabile (ancora inverificato) sfruttamento gestionale delle rotte di comunicazione marittime da e per il Nord-Africa e la Sicilia.

Bibliografia

Cavallari, F.S. 1874, Corografia di Cossura e della sua necropoli, Corografia di un castello ciclopico e particolari dei Sesi di Pantelleria, Bullettino della Commissione di Antichità e Belle Arti in Sicilia, 7, sett.1874, parte I: scavi e scoperte : 23-32.

Dalla Rosa, G.1871, Abitazioni dell’epoca della pietra nell’isola di Pantelleria, Parma

Dalla Rosa, G. 1872, Una gita all’isola di Pantelleria, Archivio per l’Antropologia, 2 : 138-150.

Orsi, P. 1899, Pantelleria, Monumenti Antichi dei Lincei IX.

Tozzi, C. 1968, Relazione preliminare sulla I e II campagna di scavi effettuati a Pantelleria, Rivista di Scienze Preistoriche XXIII : 315-388.

Tozzi, C.1978, Nuovi dati sul villaggio dell’età del bronzo di Mursia a Pantelleria, Quaderni de “La Ricerca Scientifica” 100 : 149-157.

Tusa, S 1990, La preistoria nel territorio di Trapani, Siracusa : 119-132

Tusa, S.1992, La Sicilia nella preistoria, Palermo : 336-343

Trump, D. 1963, Pantelleria revisited, Antiquity, 37 : 203-206.

Vassie, G. 1894, Les monuments primitifs de Pantelleria, Revue tunisienne, 1 : 104-116

A.Verger, A. 1966, Pantelleria nell’antichità, Oriens Antiquus V : 248-275.

Verger, A. 1966 a, Ricognizione archeologica a Pantelleria, in “Mozia” II, Roma : 121-141.

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